Il film di James Gunn ha convinto pianamente la critica… potrebbe essere un punto di svolta per il futuro dei cinecomic, un genere che domina i box office ormai da anni?
Sono passati cinque anni dal primo Suicide Squad, il film disastroso che doveva mostrarci un gruppo di cattivi tra i più improbabili fare squadra per salvare il mondo. Un grande successo a livello economico, decisamente meno per l’accoglienza dei fan: ricorderete sicuramente il disastro che è stato, con una continua guerra tra Ayer e Warner Bros. che, diciamolo apertamente, non è mai riuscita a valorizzare i personaggi DC Comics.
Cinque anni dopo la squadra suicida torna al cinema ma questa volta alla guida troviamo James Gunn, uno dei registi più amati del momento, che dopo essere stato licenziato dalla Disney, ha deciso di raccogliere questa sfida ispirandosi apertamente ai fumetti di John Ostrander di cui è un grande fan. Le aspettative erano altissime (anche se quando si parla di Warner e cinecomic spesso è difficile farsi aspettative alte) e finalmente posso dirlo liberamente: The Suicide Squad è esattamente ciò che speravo di vedere e James Gunn ha tirato fuori il meglio dal mondo dei supereroi senza farsi schiacciare dall’eccesso di epicità e velleità da cinema “impegnato”, due dei difetti tipici dei cinecomic a mio avviso.
Questo film di epico ha ben poco: è anarchico, caotico, un caos di mille colori che include violenza, risate ed emozioni, la dimostrazione che un cinecomic può osare di più senza paura e al tempo stesso avere un ottimo risultato. Se volessi fare un paragone con i Guardiani della Galassia posso ammettere che il film della DC è “superiore” (a livello puramente personale, sia chiaro) ma non per contenuto o qualità, ma semplicemente perché si tratta di un rischio ancora più grande, un’altra scommessa che ha vinto alla grande.
Si tratta di due franchise semi-sconosciuti (ed il fatto che sia un soft reboot del primo Suicide Squad non aiuta di certo), ma in questo caso i non ha avuto solo l’obiettivo di risollevare la reputazione della squadra, ma anche di salvare la reputazione della Warner stessa lato cinecomic, una reputazione “buttata” grazie ad una specie di universo (ora Multiverso) mai compreso da nessun fan, neanche da loro stessi. L’unica mossa veramente azzeccata è stata quella di ingaggiare Gunn nel 2018, fresco di licenziamento dalla Disney, e dargli carta bianca. Una mossa che può sembrare banale, ma che non lo è, considerando quanto le major adorano “mettere bocca” nelle produzioni cinematografiche.
Le premesse di questo film sono le stesse di quelle del 2016: prendere un gruppo di cattivi rinchiusi nella peggior prigione del mondo e farli partecipare in una missione pericolosa contro una super minaccia. Se falliscono muoiono, se cercano di scappare muoiono, se disobbediscono muoiono e se durante la missione muoiono… beh, comunque sono morti. Nel 2021 vediamo però la squadra più assurda di sempre con squali-umani, soldati con psicosi, chi-controlla-roditori, vigilanti allucinanti e la mitica Harley Quinn, personaggio amato già nel 2016 con una Margot Robbie fantastica e assolutamente perfetta nella parte.
Si mette da parte lo zucchero e il romanticismo di Ayer (o meglio, imposto da Warner, dato che Ayer aveva sviluppato tonalità decisamente più cupe) e ci si lascia andare ad un qualcosa di estremamente folle e creativo, un concetto di pop-art in un’universo dominato da caos e ironia, che riesce al tempo stesso anche a creare empatia con la squadra, cosa che il film del 2016 non è mai riuscita a fare.
Nonostante i tanti elementi, la bravura di Gunn è quella di non esagerare, senza farsi prendere la mano sia dal punto di vista visivo che narrativo, evitando anche il rischio di essere scontato e noioso già a metà film. Nonostante rimanga comunque un film corale, non rinuncia a concedere ad ogni personaggio non solo il giusto spazio ma anche la giusta profondità ed il suo sviluppo, senza andare mai a schiacciare l’altro.
Qualche settimana fa James Gunn rilasciò un’intervista affermando che i cinecomic rischiano di raggiungere un punto critico che porta noia e ripetitività, invitando quindi il genere a rinnovarsi. Ecco, questo film è la prova che cambiare è possibile e si può anche fare un ottimo lavoro, se lo si fa con un criterio ovviamente. C’è ancora speranza per i cinecomic? The Suicide Squad dice di sì, a patto però di avere creativi come Gunn con il pieno controllo del progetto, senza pressione, senza limiti e, peggio ancora, mai condizionati dalla finalità di far divertire il pubblico senza un nesso logico.
Certo, anche proporre un film “da popcorn”, ovvero di puro intrattenimento e non impegnato è un rischio, ma nel caso specifico di The Suicide Squad, si tratta di un film da popcorn, è vero, solo che questa volta mamma e papà non ci sono, avete aperto la credenza dove nascondono i dolci e potete mangiare tutte le schifezze del mondo scoprendo tantissimi sapori che mai avreste immaginato.
Ecco che cos’è stato il film per me.
Ecco cosa vorrei dal futuro dei cinecomic. Ancora più audacia, voglia di esagerare, di proporre storie sopra le righe e non sempre legate ad un concetto fin troppo banale di supereroismo.
Rimanendo in tema DC, a dare un senso di svolta ci ha già provato Zack Snyder, cercando di invertire il percorso da film per famiglie dell’MCU, puntando sull’epicità oscura e “supereroismo in slowmotion”, ma in questo caso purtroppo non è riuscito a convincere tutti – e soprattutto a convincere la major, che invece cercava esattamente di emulare il successo della concorrenza.
Gunn invece inverte la tendenza Marvel e ci riesce anche, dimostrando che John Cena può essere un bravissimo attore, mettendo Margot Robbie in condizione di dimostrare tutto il suo estro meraviglioso come neanche in Birds of Prey è riuscita.
Ci si fa male, si muore, ci si commuove, tutto questo in un film fuori di testa ma che comunque mantiene la tematica dell’esclusione e della solitudine esistenziale, che non va a condizionare negativamente il ritmo del film.
La forza di The Suicide Squad è quella di non dare assolutamente certezze e di lasciare lo spettatore con la curiosità e l’ansia di capire chi potrebbe morire, nessuno è al sicuro e tutti sono sempre sul filo del rasoio. Torniamo (finalmente) all’anno zero, l’azzeramento del mito dell’eroe in costume. Per certi versi mi ha ricordato Invincible, un prodotto che è piaciuto a tutti: si toglie l’innocenza e l’usurata patina al genere visto e rivisto in ogni film e si parla al pubblico in maniera più aggressiva.
La mia paura è una: nonostante si tratti di un prodotto innovativo, potrebbe non portare ad un vero rinnovamento in un universo cinematografico gestito finora in maniera pessima (ma confido per il futuro) e di cui non si avverte una reale strategia chiara e soprattutto coerente. Bisogna voltare pagina e distanziarsi dalla concorrenza, il tempo di Steve Rogers o del buonismo cinematografico puro e semplice è finito e la perfezione ha stancato. Viviamo in un mondo di diseguaglianza, siamo cattivi e rancorosi, senza una speranza ma con tanta voglia di cambiare. Abbiamo bisogno di diversità come questo mondo sta gridando da qualche tempo. E’ arrivata finalmente l’ora di cambiare!