Abbiamo partecipato all’anteprima stampa di Black Panther: Wakanda Forever, da domani al cinema. Ecco la nostra recensione, rigorosamente senza spoiler!
Il 9 novembre uscirà al cinema Black Panther: Wakanda Forever, il sequel del film vincitore di 3 premi Oscar nel 2018 che dovrà affrontare l’improvvisa morte del protagonista Chadwick Boseman e portare avanti la storia di Shuri (Letitia Wright), ora alla guida del Regno del Wakanda, e degli altri personaggi introdotti nel primo capitolo.
Black Panther: Wakanda Forever riporta l’Universo Cinematografico Marvel su una direzione più seria (dopo She-Hulk e Thor: Love and Thunder, molti fan chiedevano delle tonalità più intense e meno leggere), con una trama che si prende molto sul serio ed è carica di potenza emotiva.
Wakanda Forever è un film molto umano, che riesce a veicolare tante emozioni differenti legate ad un unico, grande filo conduttore: il lutto.
La devastante scomparsa di Chadwick Boseman nell’agosto del 2020 ha cambiato pesantemente i piani per il film, costringendo il regista Ryan Coogler a scrivere una trama completamente differente: dopo alcune inevitabili difficoltà iniziali (lo stesso Coogler stava per abbandonare il mondo del cinema), il regista ha deciso raccontare una storia incentrata sul lutto e sulle sue devastanti conseguenze.
Cosa significa perdere un figlio, un fratello o addirittura un protettore? Come può andare avanti la tua vita dopo una scomparsa così tanto pesante? I protagonisti del film spesso e volentieri si pongono questo tipo di domande, con il film che concede ampio spazio a discussioni e riflessioni riguardanti proprio la scomparsa di una persona cara.
Da questo punto di vista, Black Panther: Wakanda Forever è estremamente riuscito, in quanto affronta un tema così complesso e devastante con rispetto e delicatezza (anche riguardo la scomparsa di Boseman), suscitando inevitabilmente nello spettatore un gran numero di emozioni.
Tornando alla trama, la morte di T’Challa e la scomparsa del protettore del Wakanda rappresentano il motore degli eventi, proprio come la decisione del Re di “aprire” le porte della sua nazione al mondo intero nella finale del primo Black Panther.
Inevitabilmente, proprio come anticipano trailer e clip, l’assenza di una Pantera Nera e l’interesse di altre Nazioni nei confronti del Vibranio – naturalmente per utilizzarlo a scopo bellico e non per aiutare le persone, come invece voleva T’Challa – crea una crescente tensione politica.
Qui subentra anche il popolo di Talokan guidato da Namor, il grande antagonista della pellicola. L’introduzione di questo popolo avviene in una sequenza a dir poco brillante, dove Coogler riesce a creare tensione, mistero e dimostrare tutta la loro potenza.
Come molti di voi sapranno, i Marvel Studios hanno deciso di prendere le distanze da Aquaman e dalla loro Atlantide stravolgendo completamente i fumetti: Namor e la sua popolazione si basano sulle culture dei popoli precolombiani e il nome dato all’Atlantide cinematografica è un’altra dimostrazione di questa scelta. Il nome Talokan, infatti, non è presente nei fumetti ed è un richiamo a Tlālōcān, uno dei paradisi del mito azteco e luogo di eterna primavera governato da Tlāloc, Dio della pioggia e della fertilità.
A riguardo, i Marvel Studios e la produzione hanno lavorato a stretto contatto con storici ed esperti della civilità Maya per creare questo Regno sottomarino. Inoltre, con la storia di questa civiltà e della sua nascita, Coogler ha anche riproposto il tema della colonizzazione, che ha già trovato spazio nel primo Black Panther.
Dalle musiche fino alle scenografie, passando per i costumi, il regno di Talokan è convincente, anche se avremmo voluto assistere ad una maggiore esplorazione di esso, dato che spesso viene soltanto accennato.
Si crea quindi un’interessante contrapposizione sia con il Wakanda, sempre più hi-tech che con la Atlantide di Aquaman iperfuturistica, dando vita ad un mondo più tribale ed unico, molto vicino alla natura e all’ambiente.
Proprio come anticipato dal produttore, i Marvel Studios sono rimasti abbastanza fedeli alla caratterizzazione della controparte fumettistica nonostante l’ispirazione alla cultura Maya: Namor è un mutante in grado di respirare in acqua e fuori dall’acqua ed è tremendamente potente, al punto che può seriamente competere con Thor ed Hulk quando si trova in acqua.
L’essenza del personaggio rimane simile, anche se hanno calcato meno la mano sul fattore più “folle” e beffardo: è ambizioso, non si ferma dinanzi a nulla, è spietato ed intenzionato a fare ogni cosa per difendere il suo popolo (proprio questa sua voglia di proteggere il popolo lo porta a prendere una decisione che non tutti comprenderanno appieno).
In questo caso, Namor viene collegato alla figura mitologica Maya di K’uk’ulkan. La correlazione con il Dio-Serpente piumato viene mostrata dalle iconiche ali sulle caviglie del Sub-Mariner, grazie alle quali può letteralmente volare. Questa correlazione aggiunge un altro grado di sfida per il Wakanda, in quanto l’uccisione di una divinità può portare a delle conseguenza catastrofiche.
Attuma e Namora, i due guerrieri principali di Talokan si dimostrano spietati e potenti ma, anche in questo caso, necessitavano di un approfondimento maggiore.
Dal punto di vista artistico, il lavoro di Ryan Coogler e del suo team è da lodare: avevamo grandi aspettative per costumi, colonna sonora e scenografie, che sono state ampiamente rispettate.
Black Panther: Wakanda Forever prende tutto ciò che c’è di meglio del primo film e lo espande, mettendolo in contrapposizione ad un altro molto molto più tribale, ovvero quello di Talokan.
Il lavoro del team di Coogler è estremamente ambizioso, in quanto essenzialmente hanno creato da zero un’altra cultura ed un altro mondo, sviluppando usi e costumi, simboli, gesti, costumi ed architettura… dopo averlo già fatto per il Wakanda nel primo film! Uno sforzo artistico degno di nota, che potenzialmente potrebbe far concorrere la pellicola ad alcuni premi del settore.
Come suo solito, il compositore Ludwig Göransson ha sviluppato una colonna sonora di alto livello, il vero valore aggiunto di questa pellicola: il suo score e le tracce realizzate dai vari artisti accompagnano nel migliore dei modi le varie scene del film, da quelle più tragiche a quelle d’azione.
Purtroppo, delle grandi ambientazioni non sempre sono accompagnate da una CGI di livello: in alcune scene in Wakanda, si nota fin troppo lo sfondo digitale tramite green screen, con dei protagonisti che sembrano “incollati” sopra l’ambiente circostante. Certo, siamo lontanissimi dal tremendo scontro in CGI del primo film (e qui gli effetti visivi raggiungono un livello maggiore), ma una cura maggiore su alcuni aspetti tecnici avrebbe migliorato il risultato.
Inoltre, nelle scene marine ed in molte di quelle ambientate a Talokan, si nota un maggiore realismo in quanto Coogler ha girato direttamente sott’acqua in delle enormi vasche.
Tornando al Wakanda, la premessa della pellicola era proprio quella di esplorare questa nazione ed i vari personaggi secondari introdotti nel primo film. Tristemente, questa premessa non sempre viene rispettata e molti personaggi come M’Baku e Nakia risultano esclusivamente al servizio della protagonista principale: Shuri.
Il personaggio di Letitia Wright è protagonista di alcune sequenze emozionanti che colpiscono lo spettatore e si nota l’impegno di Ryan Coogler nel renderla un personaggio molto più di spessore rispetto al primo capitolo. Al tempo stesso, Shuri non è T’Challa, non ha il suo carisma ed il suo spirito eroico, una differenza che a molti spettatori potrebbe far storcere inevitabilmente il naso.
Avremmo preferito un approfondimento maggiore su tutti coloro che popolano il Wakanda, che spesso e volentieri sono relegati a ruoli di contorno per accompagnare la protagonista nel proprio viaggio. Fortunatamente c’è un’eccezione a tutto ciò: la Regina Ramonda di Angela Bassett, protagonista di alcune sequenze memorabili ed interpretata magistralmente (secondo alcuni giornalisti, la performance della Bassett potrebbe anche farla concorrere agli Oscar).
Rimanendo in tema personaggi, il film introduce anche Riri Williams / Ironheart, una brillante ragazza che viene connessa sin da subito al mondo del Wakanda. A differenza dei fumetti, non ci sono veri richiami ad Iron Man: i Marvel Studios hanno infatti scelto di non “spacciarla” come il rimpiazzo di Tony Stark, prendendo le distanze con ciò che hanno fatto i fumetti. La dinamica che si crea tra Riri e Shuri regala momenti molto divertenti – andando anche a citare indirettamente i Science Bros. nei primi film sugli Avengers – ed ha anche un ruolo importante all’interno della trama.
Black Panther: Wakanda Forever è un film molto più serio e drammatico rispetto a tante altre produzioni dell’Universo Cinematografico Marvel: certo, c’è sempre spazio per momenti più leggeri e battute, che non vanno mai ad intaccare negativamente o ad alleggerire le scene più emotive.
Sfortunatamente, sembra che alcuni personaggi siano stati inseriti soltanto per introdurli in vista di altri progetti futuri, in quanto non vengono mai realmente approfonditi e non hanno un reale peso nella trama. Inoltre, ci aspettavamo un ruolo maggiore per molti co-primari, che non riescono a brillare nonostante le potenzialità.
Mentre il primo film rappresentava il perfetto connubio tra tradizioni e tecnologia e riusciva a bilanciare perfettamente questi due aspetti, in questo secondo capitolo l’aspetto hi-tech è preponderante e potrebbe far storcere il naso ad alcuni spettatori, dato che la tecnologia viene utilizzata come escamotage per risolvere la maggior parte dei problemi, anche quelli più insormontabili.
Per buona parte del suo svolgimento si percepisce una tensione maggiore rispetto a tante altre pellicole Marvel ed è ricco di trovate visive intriganti e sorprendenti, soprattutto relative a Talokan.
Il minutaggio è decisamente elevato (2 ore e 41 minuti), il ritmo non sempre è gestito bene e spesso mancano approfondimenti su molti aspetti, che vengono soltanto esplorati marginalmente. Inoltre, alcuni personaggi (come ad esempio M’Baku) non meritavano di essere “reclusi” a semplici spalle della protagonista.
Al netto di questi difetti, che avrebbero sicuramente migliorato il risultato finale, la pellicola è comunque promossa: dal tema del lutto fino all’ottimo comparto tecnico ed artistico, passando per il world building per Talokan, si nota tutta la passione di Ryan Coogler e del team di sviluppo, che hanno voluto fortemente sviluppare una grande lettera d’amore al compianto Chadwick Boseman.