Nei giorni scorsi è stato intervistato uno dei più grandi artisti del fumetto internazionale degli ultimi quarant’anni, Bill Sienkiewicz, dove ha raccontato del suo rapporto con il personaggio di Elektra e delle fasi della sua carriera di inchiostratore.
“Se è vero che il mio lavoro ha definito il personaggio di Elektra per le generazioni successive, mi sento di dire che gran parte del merito è attribuibile al fatto che io e Frank Miller abbiamo lavorato così a stretto contatto che Assassin ha finito per avere il nostro stesso DNA che gli scorreva nelle pagine. Tra me è lui c’è stata una specie di osmosi, per cui il mio stile ha influito sulla sua narrazione e quest’ultima sui miei disegni.
Ho visto molte versioni dei altri personaggi su cui ho lavorato, come Moon Knight e i Nuovi Mutanti. Quel che accade di solito quando li abbandono, di solito non mi interessa. Non seguo i fumetti su cui lavoro, senza mancare di rispetto ad autori e artisti, mentalmente chiudo la serranda, passo ad altro. Ma nel caso di Elektra devo dire che sento sempre un po’ il bisogno di difendere il mio territorio. Il modo in cui ho finito per sentirmi nei suoi confronti è interessante.
Una cosa che succede sempre è sentirsi strani quando vedi un tuo personaggio interpretato da un attore o un’attrice, quindi è inutile, in questi casi, restare incollati a una certa visione, a meno di volersi far spezzare il cuore. Nella mia testa, Elektra è come Keyser Söze: imperscrutabile, misteriosa e il tipo di donna che tormenta le sue stesse ferite, che impedisce loro di guarire.
Si tratta di una persona profondamente ferita e che ha una serie di ragioni molto precise e un’essenza profonda che le impongono di lasciar crescere dentro di sé una certa oscurità. Non potrebbe mai essere una madre, secondo me; sarebbe un disastro annunciato. E certamente non potrebbe mai lavorare assieme a un apprendista o una spalla. Inoltre, non riesco a vederla come un personaggio di supporto nella storia di qualcun altro.“
Il ruolo da inchiostratore gli ha procurato alcuni problemi poichè andava contro la sua personalità e non gli permetteva una certa libertà.
“Alcuni mi chiedono come mai io mi occupi tanto di inchiostrazione. Il fatto è che si tratta di un’occasione di camminare nelle scarpe di qualcun altro e vedere il mondo con occhi altrui, cosa che ritengo assolutamente affascinante, perché ti permette di sperimentare il modo in cui altri trovano soluzioni ai problemi. Non che non sia possibile anche soltanto leggendo i fumetti che disegnano, ma al livello delle matite, delle linee pure, si tratta di un’immersione molto più approfondita.
Conosco Denys Cowan da quando entrambi eravamo dei novellini e siamo, più o meno, ognuno il migliore amico dell’altro. Siamo affezionati agli stessi stili molto particolari, il che include molte influenze europee, che caratterizzano lui molto più di me. Entrambi, poi, non ragioniamo molto in termini di precisione o di anatomia, ma piuttosto di forme, ricorrenze e astrazioni.
Soprattutto, quando lui mi manda qualcosa, io capisco immediatamente ciò che vuole. Forse mi illudo e sono presuntuoso. Siamo stati fortunati a trovarci con questa specie di fiducia implicita vicendevole ed è una fortuna a cui do grande valore. Ogni volta che mi propone un progetto, lui sa che darò il meglio di me stesso per farlo funzionare.
In qualità di inchiostratore, posso dire di aver fatto le chine di un lavoro di Jack Kirby, credo per un’edizione di alcune figurine. Ma Kirby credo che sia comunque il mio disegnatore da sogno, da inchiostrare. Il suo stile aveva al proprio interno una forma di potenza, secondo la mia personale interpretazione, che mi consentirebbe di lavorare alle chine con un trasporto emotivo simile a quello che lui convogliava nelle matite.
Per me, questo lavoro si traduce nel tentativo di esprimere al meglio l’idea generale che il disegnatore vuole comunicare, amplificarla. L’idea di rispettare e contemporaneamente aggiungere qualcosa all’ispirazione iniziale è, secondo me, l’essenza di questo mestiere.“